Presentazione della Biblioteca “Gianfranco Labrosciano”
Per quanto rapido possa essere il gesto di inaugurare una piccola biblioteca privata, non altrettanto rapida è, come in questo caso, la sua essenza e costituzione, frutto di un complesso di scelte, raccolta e sistematizzazione autonoma, cioè operazioni svolte da una sola persona, lungo tutta la sua esistenza. Libri che si sono persi, prestati e mai ritornati, acquistati dopo un incontro speciale e ancora libri desiderati, volumi, riviste e fogli che messi insieme diventano ritratto particolare e rappresentano la specifica evoluzione culturale di una persona. Quando tutti questi sono riconsegnati a una intera comunità, diventano automaticamente qualcos’altro. La costituzione di una piccola biblioteca della comunità non sancisce la fine di quelle operazioni di raccolta, ma un nuovo inizio e un principio di trasformazione e diramazione della conoscenza, come una pianta le cui radici sono ben ancorate al terreno e i cui bracci dipartono e comunicano, fioriscono e danno frutti.
Conoscenza intangibile, libri e sapere virtuale
Quando nasce una biblioteca ci si
deve porre molte domande e avere ben chiaro un piano lungimirante di progetti
volti a mantenerla in vita. La vita di una biblioteca non dipende unicamente da
numeri e statistiche, ma dal rapporto che riesce a instaurare con le persone
che la abitano in vario modo.
Labrosciano ha speso ogni sua risorsa per i suoi libri, la sua non è stata collezione di vanità, ma il risultato di una continua necessità di interpellare i pensieri nella storia e di transitare in mezzo ai suoi cunicoli, perdendosi e ritrovandosi tra eventi mossi da quella costante della vita che è la continua trasformazione. La sua biblioteca oltre a comprendere una cospicua raccolta di volumi sull’arte visiva, include titoli che tracciano un percorso nella storia locale, utile a riconnetterla al resto d’Italia e oltre. Tra chi prevede la morte del libro di carta e chi invece vuole perseverare nell’esercizio della lettura tra i fogli e nelle sale delle biblioteche di oggi, restano comunque le parole e, tramite esse, i pensieri che come “ponti d’aria” (così amava definirli lo stesso Labrosciano) connettono le persone.
Entità liminali nell’evoluzione dei paesaggi sonori
Perché ci interessa conoscere il mondo sonoro passato? Possiamo attraverso la narrazione proporre un quadro unitario di relazioni non solo visive ma pure sonore di un certo ambiente, non limitate unicamente alla musica ma che accludano un paesaggio sonoro? I suoni peculiari di un territorio diventano veicolo significativo per la conoscenza storica e antropologica. In passato, viaggiatori giunti da lontano sono rimasti affascinati dalle atmosfere sonore in cui si sono sviluppati gesti ed espressioni condivisi, e forme di interazione peculiare fra le persone e il loro ambiente comune. Spesso, toponimi ed espressioni proverbiali fortemente connessi alla presenza di corpi d’acqua rivelano un esercizio di ascolto da parte delle comunità residenti e talvolta rappresentano una proiezione sonora e semantica del processo di simbolizzazione di esperienze comuni, in questo caso specifico intorno alla presenza dei fiumi. L’ascolto, in questo contesto, è uno strumento per l’interrogazione del territorio ‒ nella prospettiva di una problematizzazione di testi e contesti. Introducendo il concetto di paesaggio sonoro per come ci è giunto attraverso il pensiero di Raymond Murray Schafer (1970, 1977) saranno visionati e condivisi alcuni documenti (iconografici, scritti e sonori) presenti in archivi online accessibili a tutti; sarà attivato un percorso virtuale all’interno di alcuni insediamenti locali, culturalmente significativi: Mendicino antica, nei pressi del fiume Jassa; l’abbazia gioachimita di Fonte Laurato, nel comune di Fiumefreddo Bruzio (Cs); il quartiere Rivocati di Cosenza, sul lungofiume Busento.
Il Valdismo in Calabria e le comunità ultramontane tra spirito e sostanza
Intorno alla fine del ’400 i valdesi provenienti dal Piemonte e dalla Lombardia si insediarono nei territori al di qua e al di là dell’appennino paolano, tra Guardia Piemontese, Montalto, Rose, San Sisto, San Vincenzo la Costa e Vaccarizzo Albanese (Tedesco 2016, 2). Ultramontani, perciò, sono i comuni e le comunità ricadenti nell’area al di là dei monti della Catena costiera, a nord-ovest rispetto a Cosenza. Il rapporto instaurato con le comunità locali fu civile e pacifico «Le aree ultramontane della Catena Costiera Paolana dovevano apparire, a quei poveri fuggitivi, come il paradiso fecondo che è ancora oggi, quando giungendo a San Sisto, passando per Gesuiti, si incontrano dolci colline di ulivi, monti più ripidi abbracciati dai castagni, fonti d’acqua secolari. La ricostruzione delle vicende legate alla persecuzione dei valdesi in Calabria, proviene anche dalle lettere di Giovan Luigi Pascale, che predicò fra i valdesi nel 1559, prima di essere arrestato, imprigionato e bruciato sul rogo a Roma, l’anno successivo. Molte, infatti, furono le epistole scritte nei giorni di prigionia indirizzate ai fratelli calabresi, poco prima della strage del 1561.» (Fratini 2014, 304-305). Nel giugno 1561 la strage a San Sisto, perpetrata ai danni dei valdesi lì residenti, distrusse una intera comunità. Eduardo Zumpano (1979) è pastore valdese, filosofo e studioso di teologia; da anni interroga i documenti che testimoniano una delle più cruente vicende della storia religiosa in Calabria. Attraverso il percorso predisposto ai partecipanti, si farà tappa a Villa Expulsorum, il villaggio degli “espulsi”, nome proprio del monastero eretto dall’ordine dei Gesuiti nell’antico borgo detto del “Cortiglio” (curtigghiu), istituito per il controllo della popolazione locale e l’arresto di ogni forma di eresia praticata dai valdesi (Perrotta 2005, 58). Zumpano illustrerà alcuni documenti con cui ricostruire i tragici fatti di Montalto (spesso associati impropriamente alla “strage di Guardia e San Sisto”, cfr. Zumpano 2017).
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